Note di regia
Avvicinandosi alla regia di un’opera profondamente rispettosa delle tre unità, qual è Cavalleria Rusticana, è naturale scandagliare il sommerso, frugare nel nucleo originario dell’ispirazione Mascagnana, e cioè la novella e il dramma omonimi, entrambi di Giovanni Verga, ma anche il libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci, che cristallizzano in versi la poesia insita nella Sicilia dello scrittore verista: la terra, i profumi, la profonda religiosità… Il testo è stato dunque un necessario punto di partenza, per esplorare le diverse sfumature psicologiche e le possibilità drammaturgiche che il viaggio da Verga a Mascagni promette. Sta qui il segno fondamentale del mio adattamento, in questo passaggio, che è diventato giorno dopo giorno un complesso e stimolante gioco di teatro, intessuto di continui scambi tra cantanti e attori, che, spesso, si rubano ruolo e battute, azioni e intenzioni degli stessi personaggi. Questo apparente disordine è forse specchio del tumulto emotivo di Santuzza, il cui amore profondo per Turiddu si consuma miseramente, insieme al tradimento di lui, fino a mutarsi nelle estreme conseguenze del disamore… Storia di amori, tradimento e gelosie, dunque, che hanno origine in un passato che l’opera sfiora appena e che io ho desiderato invece approfondire col racconto di Verga. L’adattamento di Mascagni non attenua comunque il dramma, lo sostiene, anzi, grazie alla genialità del compositore, che con Cavalleria sdoganò il melodramma ottocentesco, spogliandolo del velluto dei teatri per donargli l’autenticità e l’immediatezza della piazza, della gente comune. Come, dunque, non sentire una empatica vicinanza con questo popolo del profondo Sud? Un popolo dall’atavico sentimento religioso, che non ha però la stessa intensità del dramma interiore dei singoli personaggi, per i quali persino il dono del Paradiso sarebbe poca cosa senza la vicinanza dell’amante, e per i quali nemmeno i riti della Pasqua, apice emotivo della Resurrezione del Cristo, possono dare tregua al tormento della gelosia. Proprio la Pasqua segna invece il momento culminante della tragedia, che si manifesta in tutta la sua violenza in quel grido finale, che nasconde, nell’impersonalità del soggetto, il vero mandante morale dell’assassinio...
(Gisella Vacca)
Introduzione all'opera
È passato ormai oltre un secolo, dalla prima esecuzione dell’opera di Pietro Ma scagni tenutasi il 17 maggio 1890 al Teatro Costanzi di Roma e salutata nel finale con sessanta chiamate in scena definibili letteralmente “deliranti”. Le cronache dell’epoca narrano di un pubblico osannante che agitava cappelli e fazzoletti, e che nei corridoi urlava, tra gli abbracci: “Abbiamo un Maestro! Viva il nuovo maestro italiano”. Questa straordinaria accoglienza può essere meglio compresa se pensiamo che il genio musicale di Giacomo Puccini doveva ancora esplodere, come sarebbe accaduto di lì a poco con la messinscena della Manon Lescaut nel 1893; e che il panorama operistico italiano dell’epoca annoverava solo il settantaquattrenne Giuseppe Verdi il quale, dopo la fatica dell’Otello del 1887, sembrava ormai avviarsi alla fine della sua insuperabile carriera, non lasciando sospettare di poter ancora regalare, nel 1893, quell’ultimo capolavoro che è Falstaff. Cavalleria Rusticana, insieme a “I Pagliacci “ di Ruggero Leoncavallo, rappresenta la vetta del verismo musicale. Le ragioni del successo riscontrato sono da rintracciare nel linguaggio musicale e drammaturgico semplice e diretto, e nei sentimenti elementari rappresentati. A tal proposito, così scrive lo studioso Rubens Tedeschi nel suo saggio “Addio fiorito asil”: “Lo spettatore, annoiato dalla retorica romantica ormai priva di sostanza, ha l’impressione di calarsi in una fresca semplicità. (…) Alla retorica delle grandi passioni si sostituisce quella dell’amore tanto più forte quanto più rozzo, privo d’ombre e di sfumature. Il meccanismo insomma è ridotto all’essenziale”. L’ispirazione di Ma scagni nasce nel 1884, quando assiste alla rappresentazione del dramma omonimo di Giovanni Verga. Ne resta così colpito da sentire l’immediata necessità di lavorare a una propria opera, partendo dall’urlo finale che tanto l’ha colpito in teatro: “Hanno ammazzato compare Turiddu!”. La composizione lo impegna solo per pochi mesi, tali sono la fecondità dell’ispirazione e l’intensa suggestione attinta dal Verga. Nel corso del nostro lavoro sulla Cavalleria Rusticana di Mascagni , lo studio della sua genesi ci ha condotto, man mano, a impostare un progetto d’interazione dell’opera lirica con il dramma verghiano. Sotto il profilo musicale ciò ha comportato un necessario intervento perché il lavoro di Mascagni potesse accogliere brani tratti dall’opera di verga in modo quanto più organico e armonioso possibile. A tal fine ci è parso opportuno sostituire ai recitativi dell’uno parti dialogate dell’altra e, di conseguenza, omettere alcuni brevi momenti musicali, in modo da ricreare un universo nuovo e inedito, ma in cui risultino inalterati i sapori, le atmosfere e le sfumature liriche proprie del capolavoro di Pietro Mascagni.
(Boris Smocovich)